I cani di Fabio Moscatelli sono
molte cose. Sono gli spiriti senza pace di un territorio tormentato. Sono in
fantasmi di un’infanzia, quella del fotografo, che ha lasciato in lui
un’eredità di nostalgie insanabili. Sono gli ultimi, i fragili, i dimenticati:
quelli che, di fronte a un trauma violento come quello del terremoto, vengono
lasciati indietro, perché ci sono perdite più importanti da sanare.
I cani di Fabio Moscatelli sono,
soprattutto, cani. Non solo metafore al servizio dell’immaginario umano, ma individui.
Individui appartenenti a un’altra specie, ma dotati di un proprio mondo
interiore, di un proprio dolore di cui farsi carico, di un proprio sistema di
elaborazione del lutto, di un proprio progetto di sopravvivenza.
Abbandonati a sé stessi dopo il
sisma cha ha colpito il Centro Italia il 30 ottobre del 2016 - la scossa più forte,
di magnitudo 6.5, ha avuto il suo epicentro a Norcia, dove Moscatelli ha realizzato
le immagini di Dogs of War - si muovono schivi e silenziosi in un
panorama macerie, confidano nella mano di chi ancora li nutre, resistono al
freddo severo degli inverni umbri, custodiscono, con la loro tempra ostinata di
pastori, i segreti di questo paesaggio bello e ferito.
Dogs of War di Fabio Moscatelli, appena pubblicato dallo studio DER*LAB in collaborazione con Zazie Dogzine nella serie Photo(Note)Book, è in prevendita qui.
Cosa ti ha
portato a Norcia?
Il legame che
ho con questa terra viene dall’infanzia. Da bambino trascorrevo lì le mie
estati, nella casa di mio nonno paterno. È lì che ho vissuto i momenti più
belli con mio padre, scomparso quando avevo 22 anni. Da ragazzo, per molto
tempo, mi sono allontanato da questo territorio, per poi rinnamoramene da
adulto. Dopo il terremoto ci ho messo quasi due anni a tornare, perché
temevo di vedere quel luogo così caro completamente trasfigurato.
Cosa ti ha
spinto a tornare e cosa hai trovato tornando?
La prima
volta è stato devastante: i luoghi della mia infanzia non c’erano più, ho
dovuto abituarmi a un panorama di macerie. A parte gli effetti lascati dal
sisma sul territorio, quello che mi ha colpito è stato il silenzio. Norcia
sembrava una città fantasma, con le strade vuote e le case abbandonate. Passato
lo smarrimento iniziale, però, è nata un’esigenza quasi fisica di tornare. Pian
piano, quei luoghi hanno cominciato a esercitare su di me una sorta di
magnetismo, e quel “tornare” ha assunto mille accezioni diverse: è tornare all’infanzia ma anche tornare a riscoprire un luogo, per tornare a innamorarsene.
Perché hai deciso di rivolgere il
tuo sguardo ai cani?
Credo sia accaduto quasi in
maniera inconscia. Prima
ancora di concepire queste immagini come serie, mi sono accorto, riguardandole,
che gli animali entravano continuamente nei miei scatti: cani, ma non solo,
anche pecore, volpi. Ripensandoci,
mi è tornato alla mente di aver letto, anni fa, Preghiera per Chernobyl di Svjatlana
Aleksievič: nel libro c’è
un capitolo dedicato alla fauna di Chernobyl, e alle ripercussioni che la
catastrofe ha avuto sugli animali. A Norcia, mi sono ricordato di quelle pagine. Quando accade un disastro di questa portata gli animali vengono lasciati
indietro.
A colpire,
nelle tue immagini, è soprattutto lo sguardo di questi animali. Cosa hai visto
nei loro occhi? Smarrimento,
paura. I cani hanno avvertito il cambiamento epocale che ha sconvolto la loro
esistenza: si sono ritrovati in una dimensione sconosciuta, un paesaggio
cambiato, vivendo in molti casi l’abbandono da parte di padroni restati senza
più una casa, o subendo la perdita del proprio “lavoro”, perché molti pastori
hanno dato via le loro greggi e molti cani si sono ritrovati senza più uno
scopo. Uno di loro, un pastore maremmano che ho incontrato per la prima volta
vicino la vecchia casa di mio nonno, mi è rimasto particolarmente impresso. Il
suo sguardo mi faceva male, perché era pieno di domande, e ogni volta che lo
incrociavo sembrava chiedermi: che mi è successo? Perché devo vivere così? Mia
figlia ha cominciato a dargli da mangiare, e lui ha cominciato ad accettare il
cibo che gli offrivamo, ma la paura nei suoi occhi non se n’è mai andata.
Dogs of
War offre uno
spaccato molto drammatico su una tragedia che ha colpito umani e animali di
queste terre. In tanto dolore c’è stata qualche storia che ti ha restituito la
speranza?
Ho conosciuto
un uomo che è stato salvato dal proprio cane: un attimo prima che la terra
tremasse, il cane ha cominciato ad abbaiare e lui ha pensato che stesse
abbaiando perché voleva uscire, così lo ha portato fuori. Appena usciti dalla porta,
la loro casa è crollata, ma sono rimasti illesi. Ora vivono insieme in un
modulo abitativo provvisorio: sono entrambi anziani, ma si prendono cura l’uno
dell’altro. Niente può separali.
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