Ma al centro della scena non si sta poi così male. Lo sapeva bene Man Ray, capostipite della dinastia di weimaraner del fotografo William Wegman, e unico cane ad essere stato nominano “Uomo dell’anno” dal Village Voice. Lui, e la sua stirpe di cani/muse (gli ultimi sono Flo e Topper) hanno incarnato, davanti all’obiettivo, ossessioni, ambizioni, desideri e paure che superano le barriere di specie in una delle più intese epopee fotografico/canine di tutti i tempi. Wegman, autore di una collezione di photobook con protagonisti i suoi pastori di Weimar – ritratti in immagini le cui ispirazioni spaziano dalla moda al teatro, dal fotogiornalismo alla pittura rinascimentale – ha recentemente raccolto i suoi scatti migliori (molti dei quali realizzati con un’ingombrante Polaroid 20×24 ) nel libro Being Human (e nella mostra omonima esposta agli ultimi Rencontres d’Arles). Una riflessione per immagini sull’identità di specie, sulla personalità del cane, sulle proiezioni e sui rispecchiamenti di cui, inevitabilmente, lo rendiamo oggetto. E su come, per citare un antico proverbio aborigeno, “dogs make us human”. Sono i cani a renderci umani.
Essere umani, oltre che fotografi migliori, lo sono senz’altro diventati quegli autori che hanno dedicato la loro arte ai cani in condizione di bisogno. Tra i più noti Richard Phibbs, fotografo editoriale che, dopo aver ritratto personalità come Meryl Streep o Hillary Clinton, ha deciso di rivolgere il proprio obbiettivo verso i cani in cerca di adozione. Il suo libro, Rescue Me (Aperture, 2016) è un piccolo classico del genere: settanta ritratti iconici, struggenti ma allo stesso tempo pieni di dignità e di energia positiva, che raccontano lo straordinario viaggio dei cani salvati dalla Humane Society of New York (associazione attiva, da oltre un secolo, nella difesa dei diritti degli animali, alla quale i proventi del libro sono stati devoluti) verso la loro nuova famiglia e la loro nuova vita.
Partendo dagli stessi presupposti di Phibbs, un altro fotografo, Seth Casteel – diventato celebre attraverso il successo virale delle straordinarie immagini di Underwater Dogs, progetto per il quale ha realizzato ritratti subacquei di circa 300 cani mentre giocano in acqua, poi raccolti in un libro bestseller – ha dato il via a un programma, One Picture Saves a Life, che si basa proprio sull’uso della fotografia per incentivare le adozioni degli animali in cerca di casa. “Quando un cane arriva in un rifugio – spiega Casteel – gli viene subito scattata una foto che sarà utilizzata online per proporlo in adozione: il destino di quel cane, quindi, è legato a un’immagine, e la qualità di quell’immagine può fare la differenza”. Per questo Casteel offre, insieme a una squadra di professionisti che comprende fotografi, videomaker e tolettatori, il proprio contributo volontario a molte associazioni americane che si occupano di adozioni: cogliere in uno scatto l’anima e il potenziale di un cane può generare quella connessione affettiva che aprirà la strada a un’adozione.
Lo sa bene anche Sophie Gamand, fotografa e attivista che dedica il suo percorso a ritrarre e aiutare i cani. Dopo essersi fatta notare con Wet Dos, libro (i cui proventi sono andati alla Société Protectrice des Animaux, la maggiore associazione francese per i diritti degli animali) in cui ritrae una incredibile galleria di cani appena riemersi dall’ “incubo” del bagno, catturandone l’espressione perplessa, affranta, incredula degli occhioni enormi che spuntano tra i ciuffi di pelo bagnato o fanno capolino da una nuvola di schiuma, la fotografa si è dedicata a una serie che ha fatto di lei uno dei nomi più celebri del genere dog portraiture: Pitbull Flower Power, progetto per il quale ha deciso di ritrarre i (numerosissimi) pitbull rinchiusi nei canili e nei rifugi americani, da appena diventato un libro. Con la testa incoronata da una ghirlanda di fiori, illuminati da una luce soffusa e colti nella più dolce e intensa espressione dei loro musi, i pitbull di Sophie Gamand hanno dato – anche attraverso la rete, dove in breve tempo sono diventati virali – un enorme contributo alla dissociazione del binomio pitbull/cane geneticamente aggressivo e hanno dimostrato come, anche in questo caso, la fotografia possa essere un veicolo di conoscenza e di cambiamento: grazie agli scatti e alla relativa campagna di informazione lanciata sui social dalla Gamand, infatti, moltissimi di loro hanno già trovato casa.
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