Leggenda, mistero, tradizione, utopia. Sono molte le parole, e molte le frontiere, che il lavoro di Lucrezia Testa Iannilli (Roma, 1977) richiama alla mente. Portata vanti insieme agli animali, la sua ricerca artistica, che mescola performance e fotografia, costruisce scenari in cui l’umano si intreccia alle altre specie, in un dialogo di corpi che confonde le linee e smussa i confini. Dalle azioni performative in cui condivide lo spazio con gli amatissimi cavalli, alle immagini del progetto Game of Vanth, in cui, con registri diversi, tende un filo – come Vanth, la dea Etrusca che tiene in mano il rotolo del destino – tra mito e futuro. Tra animale, umano e postumano. Insieme abbiamo parlato delle ispirazioni che la guidano, e del suo progetto più recente, Animalia, recentemente premiato, con l’esposizione della sua immagine Gates per le strade di Torino, a Opera Viva Barriera di Milano, il Manifesto.
In che modo gli animali sono entrati nel tuo lavoro?
Fin da adolescente sono stata appassionata di equitazione: a 17 anni sono partita per il Canada per formarmi come istruttrice. I cavalli, per me, sono stati una specie di treno per la libertà. Dopo anni di lavoro all’interno di questo ambiente, ho deciso di prendermi una pausa e sono partita per il Brasile. È lì che ho avuto il mio primo incontro con i linguaggi dell’arte, e ho cominciato ad aprire i miei orizzonti. Da lì in avanti ho intrapreso anche un cammino di maturazione spirituale, e ho iniziato a interessarmi allo studio delle religioni. Nel mio lavoro rifaccio a una forte dose di animismo e di esoterismo, a un lungo lavoro di riflessione filosofica sulla morte che mi ha permesso di osservare il corpo come mero involucro, di percepire un senso di circolarità tra passato e futuro. Quando ho sentito il bisogno di esprimermi creativamente, è venuto naturale lavorare con gli animali. Costruire intorno a loro la mia ricerca è stato un modo di cominciare a rispondere alle domande che mi assediavano. Chi è l’uomo? L’animale è puro istinto, una presenza che ci porta a intuire qualcosa che va al di là del visibile, un varco con le altre dimensioni: per me è il vero tramite per comprendere chi siamo. Tra gli animali, ho cominciato a lavorare con i cavalli perché ne ho sempre conosciuto i codici.
Potresti definire quali sono i tuoi principi etici nel lavorare con gli animali? Quando l’arte, per te, fare arte con gli animali è sfruttamento e quando è invece condivisione di un’esperienza creativa?
Il punto di partenza è il rispetto, e per rispettare gli animali devi conoscerli, saperne comprendere il linguaggio: lavorare con gli animali, per me, non può essere una mera questione estetica. Anche nell’arte, gli animali non vanno mai usati: come essere umano e come artista, io sento di poterli documentare, poterne essere testimone, essere lo strumento che lascia la traccia del loro passaggio, ma non mi sento assolutamente in diritto di sfruttarli.
Come nasce e come si sviluppa Animalia?
Animalia parte da una visione mitologica, molto segnata dalle metamorfosi di Ovidio, che già avevo cominciato a sviluppare nella parte precedente del mio lavoro, in cui avevo indagato la figura del centauro. In questa ricerca, ha cominciato lentamente a inserirsi un elemento di surrealtà, qualcosa che mi ha rimandato all’idea di un futuro postumano: un domani lontano che fosse però pervaso dal passato. Se la mitologia ha coltivato l’immagine dell’umano e dell’animale insieme – proprio come nel centauro - oggi l’umano si è sempre più distaccato dall’umano. In che modo in futuro cambierà questa relazione? Le mie immagini cercano di parlare di un domani che ancora non c’è, di intuire l’esito imprevedibile di una metamorfosi.
In che contesti hai realizzato le tue immagini, e cosa cerchi esattamente quando scatti?
Alcune immagini di Animalia sono “accadute” quasi per caso, altre le ho cercate seguendo, per esempio, la tosatura delle pecore o il lavoro dei butteri. Il mito, per me, nasce dal quotidiano lavoro dell’uomo con gli animali, laddove esiste una verità non costruita, una comunione, un essere tutt’uno, nell’amore e nella crudezza. Ma per fare uscire quell’intimità, quella parte “magica” che cerco, è necessario stare dentro le situazioni, mettersi in ascolto.
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