Andrea Roversi è un fotografo solitario, col carattere pieno di spigoli, di poche parole e di molte visioni: il suo sguardo acuto è capace di cogliere le sfumature tra le ombre di un bosco, nella sospensione di una giornata di nebbia, nella luce sfuggente dell’imbrunire. Ros è un cane, il suo cane. Ed è uguale a lui. Forte, indipendente, autarchica, tenace. Il loro rapporto, fatto di silenzi e di dedizione reciproca, è diventato col tempo parte integrante del racconto fotografico di Andrea, nuovo capitolo di quella sua esplorazione poetica del paesaggio, che lo ha già portato a raccontare la natura estrema dell’Islanda nei progetti Til Norðurs e Daudalogn e che lo porta a tornare ancora ancora nei boschi della sua Umbria. “Ho sempre vissuto circondato da cani”, racconta Andrea, “ma doversi prendere cura di un cane mio è stato l’approdo in un nuovo mondo. Ros è un komondor (pastore ungherese), una taglia extralarge, non facile da gestire vivendo in centro a Roma, ma io adoro i cani da pastore per la loro indipendenza, per la loro capacità di proteggere il gregge: la verità è che cercavo un cane con un carattere come il mio. O forse il carattere dell’umano si definisce in funzione del carattere del cane e il carattere del cane in funzione dell’umano: oggi siamo diventati molto simili”.
Dalla loro sintonia, è nato un dialogo d’amore di ispirazione, che continua a prendere forma in immagini intense e misteriose, scatti senza luogo e senza tempo in cui il paesaggio – segnato e trasformato dalla presenza di Ros – è raccontato nella sua unicità ma anche nella sua archetipica potenza: “amo fotografare ciò che mi piace, e Ros mi piace. La sua capacità di ispirarmi è cresciuta di pari passo alla sua presenza nella mia vita: abbiamo passato tantissimo tempo da soli, abbiamo viaggiato tanto insieme, e per me la fotografia viene sempre di conseguenza all’esperienza. Oggi è diventata parte integrante del nostro rapporto: basta dirle ‘Ros, facciamo una foto’ e lei si mette in posa. Sa benissimo cosa stiamo facendo e capisce quando è il momento in cui abbiamo finito”. È così che, dall’Islanda a l’Umbria, passando per la Danimarca e il Tirolo, Andrea ha inserito Ros nel paesaggio della sua anima, tra le “luci fredde e le nebbie che contraddistinguono la mia fotografia”, nelle lunghe solitudini in cui continua la sua ricerca di orizzonti a perdita d'occhio: boschi, spiagge, praterie sconfinate, montagne il cui profilo sfuma nella neve. “Adoro la natura e l’istintività e la delicatezza degli animali: mentre l’uomo è l’unica specie che ha modificato, sfruttato e abusato il paesaggio, gli animali, con la loro capacità di integrarsi perfettamente nella natura, riescono a vivere il paesaggio tirandone fuori il meglio. Con Ros, il mio modo di fotografare non è cambiato, ma al centro dell’inquadratura ora c’è lei, che chiude il cerchio della mia fotografia e della mia vita.”
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